E' già tempo di presentare la nuova domanda per l'assegno unico proviciale, la misura di sostegno al reddito e alle famiglie. Se si fa richiesta entro il 30 settembre l'assegno quota A decorrerà a partire dal 1° luglio.
Si ricorda che la misura viene calcolata sulla base della condizione Icef.
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“Abbiamo sempre contestato l’adozione del criterio dei 10 anni di residenza in Italia per l’accesso alla quota A dell’Assegno unico provinciale, la misura territoriale di contrasto alla povertà. La scelta di eliminarlo quindi è sicuramente positiva anche se purtroppo arriva con grave ritardo e non si applica ad altre misure del welfare provinciale per le quali la prima giunta Fugatti, nella scorsa legislatura, aveva introdotto lo stesso requisito di residenza.
Parliamo in particolare dell’assegno di natalità e del sostegno all’accesso alla casa, si tratti delle graduatorie per l’alloggio Itea o del contributo all’affitto. In entrambi questi casi, il vincolo di residenza fissato a 10 anni è stato giudicato irragionevole e discriminatorio da parte dei giudici del Tribunale di Trento e di Rovereto e la Giunta provinciale ha provveduto a disapplicare la norma dal punto di vista amministrativo per non incorrere in ulteriori sanzioni. Allo stesso tempo il presidente Fugatti allora aveva deciso di appellare le sentenze di primo grado difendendo di fatto questo criterio così penalizzante per persone di origine straniera ma che, dopo tanti anni di regolare presenza sul territorio nazionale, non possono non essere considerate pienamente integrate nel tessuto sociale.
Confidiamo quindi che, all’interno del confronto sul disegno di legge, il Consiglio provinciale elimini il vincolo dei 10 anni laddove è ancora presente in altre disposizioni legislative per essere davvero coerente con l’impianto del disegno di legge promosso dalla Giunta.
Ricordiamo poi che anche il Governo Meloni è alle prese con un contenzioso con la Commissione Europea sui criteri di residenza previsti per l’accesso alle misure di sostegno alle famiglie con figli minori previste con l’Assegno Unico Universale perché, per la Commissione europea, anche la previsione di 2 anni di residenza è ritenuto discriminatorio quando si parla di minori. Questo rafforza la posizione che Cgil Cisl Uil, insieme alle Acli e a tante altre associazione a partire da quelle familiari, hanno sempre sostenuto contestando misure che penalizzano per questioni di residenza alcuni nuclei nell’accesso ai benefit del welfare provinciale coerentemente al fatto per cui i figli di famiglie di origine straniera sono e devono essere considerati in tutto e per tutto i trentini del futuro”.
Trento, 10 gennaio 2024
L’assegno unico universale per i figli spetta anche ai cittadini stranieri che, in possesso dei requisiti di reddito e residenza, hanno un permesso di soggiorno in attesa di occupazione. Lo ha stabilito il Tribunale di Trento con sentenza del giudice Giorgio Flaim, condannando l’Inps per condotta discriminatoria e accogliendo il ricorso presentato dal patronato Inca Cgil con l’intervento di Asgi (associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) difesi dagli avvocati Giovanni Guarini e Alberto Guariso.
I fatti riguardavano una madre straniera residente in Trentino con un permesso di soggiorno in attesa di occupazione. La donna si è visto negato il beneficio dell’assegno unico perché, sulla base di quanto previsto da una circolare Inps, ma non specificato nella legge, la persona straniera con figli ha diritto all’assegno unico universale se in possesso di un permesso di soggiorno per lavoro. Requisito che la donna non aveva più a seguito della perdita del proprio lavoro.
Il Giudice Flaim ha definito la decisione dell’Istituto discriminatoria e lo ha obbligato a riconoscere alla signora l’assegno universale, pari a 335 euro al mese, a decorrere dalla data di presentazione della domanda, cioè dal marzo 2022.
Non solo. Dal momento che il ricorso è stato patrocinato anche da Asgi, che agisce a tutela di interessi collettivi, la decisione del Tribunale assume valenza estensiva per tutte le cittadine e i cittadini stranieri che si trovano nella medesima condizione dell’utente che si è rivolta al patronato Inca, cioè hanno un permesso di soggiorno in attesa di lavoro. Di conseguenza l’Inps è obbligata a modificare la propria circolare e a riesaminare tutte le domande rigettate per i cittadini in possesso di permesso in attesa di lavoro.
Secondo il giudice, sulla base di quanto previsto dalla direttiva europea 2011/98/UE la circolare di Inps è dicriminatoria perché viola il principio di parità di trattamento fra cittadini dell'Unione e stranieri soggiornanti in UE titolari di permesso unico lavoro (permesso superiore ai sei mesi), tra cui rientra anche il permesso in attesa di occupazione.
Si tratta della prima sentenza in Italia di questo tipo e ha valenza su tutto il territorio nazionale.
“Siamo soddisfatti della decisione del Tribunale di Trento. Abbiamo proposto ricorso nella convinzione che fosse ingiusto e assurdo che una cittadina venisse privata di una misura di sostegno economico per lei e i suoi figli proprio nel momento di maggiore bisogno, cioè quando il suo reddito era più basso per la perdita di lavoro. Il patronato si conferma non solo erogatore di servizi, ma anche luogo di tutela e punto di riferimento per far valere il riconoscimento dei diritti di tutte le cittadine e dei cittadini”, commenta il direttore Marco Colombo.
Trento, 21 settembre 2023
Con la FLAI CGIL è già possibile presentare la domanda di disoccupazione agricola relativa all’anno 2023.
Chi ne ha diritto
Possono fare richiesta tutti i lavoratori e le lavoratrici con contratto a tempo determinato o stagionale agricolo, anche quelli occupati con il Progettone e l’Intervento 19 del verde e gli operai forestali stagionali o a tempo determinato. I lavoratori e le lavoratrici a tempo indeterminato che hanno lavorato parte dell'anno
Quando
E' possibile fare richiesta fino al 30 marzo 2024
Cosa serve
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Juri Frapporti
Cell. 345 9797420 oppure 0461 040111
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Via Muredei, 8 Condominio Zeta 38122 TRENTO
In Trentino i carichi familiari sono maggiori che in Alto Adige e in Tirolo. Il 67% di lavoratori e lavoratrici della nostra provincia dichiara, infatti, di dedicarsi tutti i giorni o più volte alla settimana a figli o anziani e disabili presenti in famiglia. Una percentuale che in Alto Adige si ferma al 51% e in Tirolo al 43%. Un dato, quello che emerge dall’indagine Euregio EWCS sui tre mercati del lavoro, che segnala oltre ad una diversa dinamica culturale anche una diversa disponibilità di servizi conciliativi sui tre territori. Su questo aspetto, dunque, c’è ancora un buon margine di miglioramento. Questa è la lettura di Cgil Cisl Uil del Trentino che oggi hanno partecipato a Bolzano alla presentazione dei risultati dello studio sulla Conciliazione vita-lavoro nell’Euregio che ha coinvolto le tre Agenzie del Lavoro.
Dall’analisi emerge un quadro positivo sulle possibilità di conciliare vita privata e lavoro, in tutte e tre le aree territoriali, con livelli di soddisfazione che superano l’85% in media nell’Euregio e che vedono comunque il Tirolo ad un livello di soddisfazione dell’87%, seguita dal Trentino all’85% e poi Alto Adige all’84%. Entrambe le province autonome si collocano, comunque, sopra la media nazionale che si attesta al 75%. “Il nostro territorio ha fatto molti passi avanti in termini di conciliazione – commentano i segretari generali Andrea Grosselli, Michele Bezzi e Walter Alotti – ma il dato sui carichi di lavoro così come il ricorso al part time dimostrano che oggi c’è ancora molta strada da fare. Per conciliare la strategia, infatti, non può essere solo il lavoro parziale, che comporta non solo redditi più bassi, ma anche pensioni future più basse e minori possibilità di carriera, il più delle volte per le donne. Al contrario bisogna potenziare i servizi e innovare l’organizzazione del lavoro con maggiore flessibilità, smart working e magari riduzione della settimana lavorativa a parità di salario. Questo renderebbe migliore l’organizzazione del lavoro, ridurrebbe i carichi di stress soprattutto sulla componente femminile e incentiverebbe l’occupazione femminile e la propensione a fare figli”.
Dallo studio emerge anche come le situazioni più critiche in termini conciliativi siano legate ai settori dove l’orario di lavoro si articola su 6/7 giorni la settimana, e dunque in settori come il turismo e i trasporti, e nel lavoro più povero. “Chiaramente chi ha stipendi migliori può compensare la minore flessibilità ricorrendo a servizi conciliativi a pagamento. Strada preclusa per chi ha un lavoro povero o precario. E’ anche per questa ragione che i servizi di conciliazione vanno estesi, resi accessibili in termini di costo e devono essere flessibili”, concludono i tre segretari generali.
Trento, 26 maggio 2023